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La Stampa

La pastorale siberiana di un ragazzo gay si fa invettiva politica
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La recensione del libro “Primavera in Siberia” su La Stampa (29 Marzo 2025):

Il duro cammino di Mozgovoy dalla caduta dell'Urss alla Russia di Putin.

di Cesare Martinetti

Se volete provare a capire qualcosa della Russia, e dunque aggiornarvi su cosa succede nel mondo, leggete il libro di Artem Mozgovoy. Si intitola Primavera in Siberia ma racconta in realtà l'inverno perenne della società russa dove la macchina ideologica del regime (ad agosto saranno 26 anni ininterrotti di potere di Vladimir Putin) ha lavorato a fondo per attizzare i sentimenti più primordiali. Il libro di Mozgovoy, più di molti saggi politologici, con la sua storia di un giovane omosessuale di provincia, rivela l'irriducibile divario che separa oggi Mosca da un modello civile, tollerante, inclusivo di società. E la crociata contro il mondo LGTB si rivela crudamente per quel che è: non un effetto collaterale, ma un pilastro dell'arsenale ideologico del regime impegnato a rinnovare la Grande Guerra Patriottica del 1940-45. L'uomo russo bianco e cristiano contro la decadenza dell'Occidente penetrata in Ucraina e che minaccia la Russia più delle sue armi. Una guerra santa (svjascènnaja vojnà) come l'ha definita il patriarca Kirill, il più caldo e sfacciato alleato di Putin.

Artem Mozgovoy ambienta il suo racconto a Taiga, all'incrocio tra Siberia, Kazakistan, Mongolia e Cina. È l'ombelico simbolico della Russia, alla metà esatta del percorso della Transiberiana, lontano da Mosca quanto

New York è lontana da Londra. Il luogo di un esilio indefinito. «La Siberia - dice la mamma del protagonista Ale-xej - è una detenzione che dura tutta la vita, spesso anche molto di più».

Il ragazzo è nato qui, nel 1985, figlio di due ingegneri, icone sempre verdi della gioventù sovietica proiettata alla costruzione del comunismo. Ma attenzione alla data: quello è l'anno in cui Mikhail Gorbaciov si insedia al

Cremlino e lancia la perestrojka accelerando il crac del sistema. Nell'89 cade il muro a Berlino, si sfalda l'impero, alla fine del '91 viene ammainata la bandiera rossa e sostituita da un'altra con i colori della vecchia Russia imperiale.

Alexej scopre così di essere nato in un paese che non esisteva più: «All'inizio non riuscivo a distinguere tra Dio e Lenin, ma col tempo ho imparato a capire chi era chi: quello appeso sopra la lavagna a scuola era Lenin, e quello ap peso sopra il frigorifero nella cucina di mia nonna era Dio. Preferivo di gran lunga la cucina di mia nonna, quindi mi piaceva di più Dio». Era un tempo caotico e sospeso, in cui la stabilità delle famiglie, specie in campagna, lungo i sel fusi orari che attraversano la Siberia, rimase in gran parte affidata alle babuske, le indistruttibili nonne russe.

Alexej però era intanto entrato nel tunnel buio della sua vita. A scuola i bulli lo chiamavano Alien, come il protagonista del primo horror americano trasmesso in tv: «Avevo la testa grossa, il corpo magro, la faccia timi-da». Era un ragazzo delicato e gentile che preferiva le poesie di Anna Achmatova alle liriche patriottiche di Lermontov e provava imbarazzo negli spogliatoi nelle ore di "cultura fisica" che dovevano preparare i maschi alla leva e che si concludevano immancabilmente con una scazzottata, parte integrante della formazione. «Mi calpestavano nella neve, mi stendevano a terra, giocavano a calcio con il mio zaino, con il mio colbacco... Sapevo di non poter chiedere aiuto a mio padre perché, se avessi osato lamentarmi, non avrebbe fatto altro che ricordarmi quanto fossi imperfetto, effeminato e inadatto».

 

Il personaggio più tragico del romanzo è Anton, l'amico del cuore timido e colto con il quale si sogna in cop-

pia, come Rimbaud con Verlaine. I due si lanciano in avventure ingenue e grottesche, come un viaggio da

quattro soldi a Berlino-Amsterdam-Parigi in autobus, ma soprattutto scoprono l'amore e insieme lo stigma uni-versale. A Mosca li ferma la polizia, solo perché sono due maschi che camminano vicini, Anton finisce in cella, Alexej si smarca facendo scivolare una banconota da 500 rubli al poliziotto. Ma Anton porta un mistero in più dentro di sé, i suoi genitori sono agenti dell'FSB (ex KGB) che quando scoprono la sua affettuosa amicizia con Alexej scatenano l'inferno.

 

E qui la storia privata diventa una storia política: in un momento storico in cui Putin sta ricostruendo l'impero

russo con il ferro e con il fuoco non c'è posto per giovani timidi e incerti nella loro identità sessuale. Il cemento patriottico non ammette fessure. Artem-Alexej se la cava, da anni vive in Occidente dove ha trovato la sua prima-

vera. Per Anton e gli altri l'inverno non finisce mai. Memoir e invettiva, il testo di Mozgovoy (tradotto da Simona Garavelli e pubblicato da astoria) è una testimonianza necessaria.

Artem Mozgovoy è nato e cresciuto in un paesino della Siberia centrale durante il collasso dell'Unione Sovietica. Entrato nella redazione di un giornale locale a sedici anni, a ventisei ne diventa il redattore capo. Nel 2011, per sottrarsi alla persecuzione degli omosessuali in Russia, lascia il Paese. Ha vissuto in sei Stati diversi fra cui gli Usa, lavorato come comparsa, istruttore di yoga e assistente di un mago. Oggie scrittore, ha passaporto del Lussemburgo, parla cinque lingue e vive in Belgio con il suo compagno.

"Primavera in Siberia" book launch will take place at La Toletta bookstore in Venice, Italy on May, 22 at 18:00.

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